“Va direttamente a Reykjavik questa, no?” chiedo al desk mentre faccio il check-in per il volo delle 21:55 da Roma Fiumicino a Londra Gatwick. La risposta è affermativa, la mia valigia arriverà direttamente in Islanda sebbene ci sia uno scalo lungo (di notte) a Londra.
Sono pronto per affrontare circa 6 ore in aeroporto in una zona poco curata di Gatwick con un Costa aperto h24. Trovo una poltrona e provo a sonnecchiare ma il divisorio tra un sedile e l’altro non mi permette di sdraiarmi, quindi mi metto l’anima in pace e trascorro praticamente tutta la notte sveglio.
Aprono finalmente i controlli e mi imbarco per il volo diretto a Reykjavik. Un cielo nero che non accenna nemmeno ad un raggio di sole: sono le 9:15 di mattina e dopo una discesa e un atterraggio tra nuvole cariche di pioggia, tocco il suolo Islandese. Il sole non uscirà prima delle 10:30-11.
Il controllo dei documenti scorre velocemente e il moderno aeroporto di Keflavik mi fa una bella impressione. Arriva il momento tanto atteso. Il recupero della valigia.
Quando dopo circa 40 minuti di attesa tutte le valigie sono state scaricate sul rullo, nella mia mente penso “Quindi non succede sempre agli altri“. E infatti sta volta tocca a me: il mio zaino-valigia di Decathlon è disperso. Al suo interno anche gli scarponi da trekking che avevo comprato apposta prima di partire.
All’ufficio dello smarrimento bagagli, una donna con un forte accento islandese (si nota dalle “s” pronunciate come “sh”) mi fa riempire dei moduli e mi dice di consegnarli ad un altro ufficio, quello della dogana, poco prima dell’uscita. Seguo le sue indicazioni e, rassegnato, compro il biglietto del bus per Reykjavik.
Una bufera come non ho mai visto prima mi attende fuori. Il forte vento trasforma la neve in ghiaccio tagliente che mi colpisce il viso: welcome to Iceland.
Arrivato in ostello, faccio subito presente che potrebbe chiamare l’aeroporto per portarmi la valigia. Poi vado in camera e mi faccio il letto (per chi non è mai stato in ostello, solitamente funziona così). Mi siedo e guardo le uniche cose che ho con me: uno zaino con al suo interno computer, macchina fotografica, cavalletto, guanti, sciarpa, cappello, due calzini termici e una calzamaglia. Anche pane del Mulino Bianco e tre vaschette di Nutella. Un coltello di plastica per spalmarla.
Tralasciando l’importanza della Nutella (che da 1 a 10 è 10), mi manca tutto il resto: biancheria, magliette, maglioni, felpe, calzini, scarponi.
Scrivo ai miei amici su WhatsApp e tra “che sfiga” e messaggi di conforto ce n’è uno che mi rimane stampato nella mente più di tutti: “Tra tutti i posti al mondo, l’unico in cui NON PUOI perderti la valigia è l’Islanda“.
L’Islanda, terra di ghiacciai, di vulcani, dal clima imprevedibile e abitata da mangiatori di squalo putrefatto, mi accoglie in una fredda mattinata di Gennaio lasciando la valigia in balia degli aeroporti, con una bufera di neve e un paio di Timberland da passeggio con le quali mi avventuro in città, cercando di non scivolare sul ghiaccio.
Al centro di Reykjavik attorno alle 14:00 ci siamo solo io e altre due-tre persone che cercano riparo sotto al portico di un negozio. Con il telefono alla mano cerco un posto per mangiare, controllare il bagaglio online e chiamare l’assicurazione di viaggio.
Un bagel con salmone e un caffè è il mio pranzo in un accogliente coffee shop con massicci tavoli in legno. Mangio, mi rilasso 10 minuti, e poi inizio subito a sbrogliare la questione valigia:
- Effettuo l’accesso online per controllare lo stato del recupero bagagli di Norwegian;
- Chiamo l’assicurazione della mia carta di credito per sapere se posso usufruire del supporto per acquistare beni di prima necessità come vestiti e articoli da toletta;
Niente da fare:
- La tizia con il forte accento islandese ha sbagliato a trascrivere il mio nome e il mio cognome. Ciò rallenterà sicuramente il processo e chissà se se ne accorgeranno;
- L’assicurazione mi dice che devo aver acquistato il biglietto aereo con la carta di credito per ricevere supporto. L’ho acquistato invece con un’altra carta che non ha l’assicurazione viaggio. E ovviamente, non ho un’assicurazione di viaggio, né medica, come in tutti i viaggi in Europa che faccio.
Ok, non ho vestiti, mi trovo in uno dei paesi più cari al mondo, ma ho 4 tour prenotati e non intendo buttare tutto all’aria.
Il centro di Reykjavik pullula di negozi di abbigliamento tecnico con prezzi minimi per una felpa/maglione di 80€. Entro e esco da circa 10 negozi, tutti con gli stessi prezzi. Con meno di 80€ comprerei solo dei guanti che già ho. Cerco H&M su Google Maps invano. In Islanda non esiste.
Scopro che c’è un centro commerciale non lontano dove posso comprare vestiti a prezzi più bassi: prendo un taxi e in 10 minuti e 25€ sono al Kringlan Mall. Qui è dove i locali fanno spesa e shopping. Compro mutande, calzini, un maglione, calzamaglia, bagnoschiuma e shampoo. Il tutto per più di 150€. Taxi per Reykjavik, altri 10 minuti, altri 25€.
Parte di mesi di risparmi buttati in abbigliamento, taxi e cose di cui non avrei bisogno. Mia mamma che mi scrive “Quanto ci mette un pacco ad arrivare lì se lo spedisco?”. La neve che taglia il viso mi entra nell’occhio e mi rimane dolorante per i successivi due giorni. Tutte le mattine prima dei tour chiedo in reception se è arrivata la valigia e la risposta è sempre negativa.
Voi direte: hai comprato i vestiti, ma prima o poi tornerai a casa, no? Sì, dagli Stati Uniti però.
Perché dopo i miei cinque giorni in Islanda andrò a New York per una settimana. Ciò significa che se la valigia non arriva prima della mia partenza per gli USA dovrò comprare altre cose perché non ne ho abbastanza. Significa spendere altri soldi che investirei più volentieri in panini e patatine fritte.
Intanto nella mia camera vanno e vengono diversi viaggiatori. Una ragazza danese a Reykjavik per studiare, una ragazza indonesiana con 4 bottigliette di alcol per tenersi calda “perché qui fa freddo e l’alcol costa tanto” e tre ragazzi australiani probabilmente in viaggio per tutta Europa anche loro con due bottiglie (grandi) di alcol.
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Il penultimo giorno faccio un tour della costa sud e mi si riempiono gli occhi di stupore e il cuore di meraviglia. Vedo spiagge con la sabbia nera, un ghiacciaio, panorami mozzafiato e cascate. Avvicinandomi alla cascata Seljalandsfoss e camminandoci dietro, mi si bagnano i capelli, la macchina fotografica e tutta la parte davanti dei jeans. Infreddolito ma elettrizzato, con il naso che cola, mi unisco al resto dell’autobus, diventato un concerto di nasi che tirano su. Tutti bagnati ma con le facce ancora sbalordite. Come la mia quando, dopo il tour, nella lobby dell’ostello verso le 20:30, aspetto l’autobus per un’ultima escursione. Si avvicina la ragazza del desk: “Domani porteranno la tua valigia”. Parole che aspettavo da giorni, proprio come aspettavo questo tour: quello dell’aurora boreale.
Oltre ad aver imparato che bisogna sempre fare l’assicurazione sul bagaglio, ho anche messo alla prova me stesso in viaggio da solo, senza amici e senza supporto morale. Sono riuscito a cavarmela e ho contato esclusivamente su me stesso. Una valigia persa mi ha reso forse un po’ più saggio e consapevole delle mie capacità di adattamento e problem solving. Non ho mollato i tour, ho affittato gli scarponi, ho anche ricevuto il 50% dei soldi spesi nei vestiti.