Tra Cina, Laos, Cambogia e il Mar Cinese meridionale e uscito dalla guerra quarant’anni fa, c’è un paese che vive di agricoltura e cerca di riprendersi la propria identità.
Nel paese dove da un lato della strada c’è un ristorante che fa hamburger con arredamento di design e dall’altra c’è una baracca che vende carne e zuppe in contenitori di plastica con tavolini sul marciapiede, il primo McDonald’s ha aperto nel Febbraio 2014; un fastfood americano in Vietnam che però non accetta carte di credito o dollari americani.
Tra Cina, Laos, Cambogia e il Mar Cinese meridionale, c’è un paese che fa fatica a rialzarsi ma lo fa col sorriso. Lo fa con il cibo, con la cordialità, con un’accoglienza che avrebbe un ragazzo al primo giorno di lavoro in call center. Poi ti butta giù in un attimo perché ai 1.000 motorini che ti sfrecciano nei tuoi 2 metri quadrati di spazio personale, non interessa che sei sulle strisce. I 1.000 motorini ti schivano e vanno per la loro strada, magari con un mobile legato sul sedile. Impossibile abituarsi a quel modo di guidare.
Nelle città più grandi, come Ho Chi Minh che conta quasi 10 milioni di abitanti, cemento, disordine, case costruite senza criteri architettonici precisi e umidità al 90% ti fanno quasi venir voglia di tornare in hotel perché si fa fatica a vedere il sole, lo smog è tanto, il chiasso dei clacson supera il volume della tua voce e dopo 18 ore di voli e scali, Ho Chi Minh è l’ultima cosa che vuoi vedere. È come il compito di matematica in prima ora al liceo. Ma posi le valigie e affronti un mondo diverso dal tuo, ci provi, senti nuovi odori e cerchi di abituarti.
Mi mancava il cibo di casa, il “comfort food”.
A metà strada tra Ho Chi Minh (nel sud) e Hanoi (nord) ci sono Hoi An e Hue. Tappe fondamentali per un tour in Vietnam. Di Hue ho visto qualche gallo vicino l’hotel; un tassista insistente al quale, dopo 5 ore di autobus con febbre annessa, ho detto “go away” e mi ha risposto con “fuck you“; due blister di Panadol (pasticche di paracetamolo), antibiotico e termometro. Quattro giorni di febbre in compagnia di 3 canali in lingua inglese e due pacchetti di Oreo. Mi mancava il cibo di casa, il “comfort food”. Mi mancava il mio letto e i consigli di mia madre per la febbre.
Da Hue sono 15 ore in treno per Hanoi, ultima tappa del viaggio. 15 ore terribili, su un letto scomodo, polvere a non finire e la febbre che fortunatamente cominciava a passare. La distanza tra le due città è di 778 km, un viaggio lento, ben diverso da un viaggio in Frecciarossa (Milano-Napoli sono 774 km, vi immaginate a farlo in 15 ore?!).
Ad Ha Long Bay (patrimonio UNESCO) ho fatto kayak tra le isolette e i villaggi dei pescatori, con sotto di me meduse enormi e circondato da imponenti scogli ricoperti di un verde intenso, sentivo solamente l’acqua muoversi. Un silenzio e una calma che raramente ho avuto modo di apprezzare. La mia definizione di pace dei sensi.
Da Hanoi un altro treno. Altre 10 ore. Un’altra notte insonne. Un treno che però porta ad un gioiello del Vietnam vicinissimo alla Cina: a circa due ore dalla stazione, Sapa. Una cittadina abbracciata da montagne e risaie, tornanti e villaggi.
Un percorso di 12 chilometri sotto al sole cocente e i 30 gradi inaspettati hanno messo a dura prova la mia resistenza. Non ho mai fatto escursionismo, non avevo idea che sarei dovuto passare su due pali di bambù con sotto un ruscello o fare l’equilibrista su una vietta di terra con un dirupo affianco a me. Le scarpe non erano adatte, l’acqua era poca e le donne del villaggio Hmong mi hanno salvato la vita 87 volte. Il caldo asfissiante, il sudore, la terra. Pensavo “Almeno l’assicurazione sanitaria l’ho fatta. Il rientro salma è incluso dai!”. Non riuscivo ad abituarmi a quella situazione. Ero stanco e mi lamentavo, ma non ci pensavo perché i panorami erano pazzeschi, da togliere il fiato.
Non riuscivo ad abituarmi a quella situazione
Solo dopo essere tornato, ho capito che va bene un po’ di smog e il chiasso dei motorini; anche il sudore e soffrire la sete, anche le gambe che fanno male e le mani sporche di terra. Ho capito che se ami tutto di un viaggio, non riesci a coglierne le bellezze. Ho capito che è necessario sentirsi fuori luogo.
New York è la città che amo di più ma non mi darà mai quanto un viaggio del genere. Londra è bella, sì. Anche Parigi. Ma ci si abitua troppo facilmente. È tutto troppo simile al nostro stile di vita e alla nostra cultura. Il trucco è uscire dalla comfort-zone, dalla quotidianità. Cercare di spingersi oltre i propri limiti e oltre le proprie convinzioni.
Il trucco è proprio non abituarsi.
6 commenti
una delle mie tappe future di sicuro!
Non te ne pentirai! Se hai qualche dubbio chiedi pure :)
Che bello questo post, vero e sincero! Ecco forse io fatico sul serio a uscire dalla mia comfort zone e fin ora ho sempre scelto e apprezzato mete non troppo diverse dalla mia vita. L’Oriente non mi attira proprio per il caldo, afa, caos, sporcizia etc etc, ma so che mi perdo una bellezza incredibile, accoglienza, sorrisi sinceri e soprattutto una cultura che di storia ne ha tanta da raccontare…prima o poi ci provo eh, promesso.
Grazie mille! E si, devi andarci. Magari inizia dalla Thailandia (non ci sono stato) che ha molto più turismo e di conseguenza trovi standard più elevati. Il primo passo è prenotare il volo, dopo non puoi più fare nulla, vai e vedi come va :D
Rileggo il mio commento a distanza di quasi 2 anni, ed ora è il momento dell’Asia. Un primo impatto soft il luna di miele tra Bali e Singapore, ma prometto di lasciarla a casa la mia comfort zone ;) Alcuni miei amici hanno fatto il viaggio in treno da nord a sud in Vietnam, sono tornati distrutti ma con sorrisi a mille per le grandi emozioni.
Vedrai che anche Bali e Singapore ti faranno un grande effetto. Aspetto foto e aggiornamenti! :)